Perfetti sconosciuti

Vi svelo un segreto,

avevo deciso di non scrivere più per un certo periodo.

Non perché non volessi più farlo, ma semplicemente a causa del tempo che manca…Mandare il blog in vacanza per un breve periodo…Sempre in vita eh, solo più rilassato, per poi riprendere si spera il ritmo di una volta.

Ma poi capita che vedi quel film, lo finisci e subito sei un fiume di idee e riflessioni, quel film che come al solito (mio) ti rifiutavi di vedere e avevi basse aspettative, ma che invece ti ha preso e risucchiato fino al midollo, quel film su cui avevi pregiudizi, e ti sbagliavi.

Lo so, vi avevo promesso “Lo chiamavano Jeeg Robot” settimane fa, e spero di farcela prima o poi, ma dietro l’angolo c’è stato un sorpasso inaspettato…

Perfetti sconosciuti

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Chi mi conosce sa che la commedia all’italiana non è il mio genere preferito, se posso lo evito, sbagliando, facendo bene, non lo so…Una scelta di pancia.

Mi sono lasciata influenzare da tutti i pareri positivi? I tanti pareri positivi? Forse, un po’.
'Perfetti sconosciuti'Capita che pochi fattori che confluiscono insieme in un determinato momento, possono determinare la visione o la non visione di un film; in questo caso: certezze, pura casualità o anche la necessità di una scelta diversa in quell’unico isolato momento… Mi hanno portato qui.
Pareri positivi, Valerio Mastandrea (che è quasi una costante), Giallini, l’ennesimo consiglio arrivato proprio oggi e una domenica pomeriggio in cui la voglia del classico thriller scarseggia, cambio rotta e il nuovo film di Paolo Genovese mi aspetta.

Non che lo amassi prima di oggi Genovese, Immaturi si era rivelato il film che mi aspettavo, non nelle mie corde, e la Smutniak non è la mia attrice preferita, ma le seconde possibilità esistono per un motivo no?

Perfetto, abbiamo appena capito che sarò tanto prolissa e che sarà un racconto del racconto, ovvero il racconto di me che guardo il film, quindi perdonatemi, ma il mio bisogno ora è quello di mettere nero su bianco le reazioni a caldo, e ovviamente consigliarvi il film di oggi.

Un gioco che genera reazioni

Perfetti sconosciuti si apre con una classica cena tra amici, gli amici di sempre, 3 coppie e un singolo, che decidono di fare un gioco.

Che poi gli amici di sempre come al solito sono solo gli uomini, come si è voluto rappresentare anche qui…
perfetti-sconosciuti-genovese-recensioneOra non ricordo bene di chi è stata l’idea del “gioco”, (mettere tutti i telefoni sul tavolo rendendo tutte le chiamate, messaggi, e-mail ricevuti in quel lasso di tempo di dominio pubblico), ma l’ho trovato un atto davvero egoista nei confronti degli altri amici.

Tutti abbiamo i nostri segreti, non mentiamoci, alcuni peggiori di altri, o semplicemente sappiamo di segreti di altri e questo potrebbe farci passare dalla parte del torto, quindi perché volersi far del male così per forza? O lasciare che altri se ne facciano? Per il brivido del rischio di essere scoperti? É inevitabile che succeda, lo so io, lo sapete voi e lo sapevano coloro che hanno ideato il film.
Forse nessuno sano di mente proporrebbe un gioco del genere, ma andiamo oltre va.

E poi i segreti non si chiamano segreti perché devono rimanere tali?

Ma questo è un film, se non succede nulla non funziona e quindi inizia il “gioco”, ed ecco che le armonie si spezzano ed escono fuori un sacco di cose, inaspettate, orribili, ma non solo.

C’è un padre complice con la propria figlia, un padre che ha un dialogo costruttivo e un rapporto che trasparisce, c’è chi è pronto a prendersi tutto il brutto al posto di un amico, perché l’amicizia è anche questo, e poi ci sono le risate genuine, quindi non tutto ha un sapore amaro nel film di Genovese.

Quegli amici di una vita che si reggono il gioco sempre, o forse no?

12562-99Però poi ci sono realtà che sappiamo esistere, che vediamo tutti i giorni e che purtroppo non cambieranno, quelle che questi tempi (e con questi mezzi) hanno facilitato e ampliato. Segreti che sono più facili da svelare e che rendono però più adrenalinico il tutto, ci sono ipocrisia, non tolleranza, superficialità, bugie, delusioni, ecco forse questa è la parola chiave, delusione, la delusione nel pensare di conoscere qualcuno e scoprirne poi l’illusione.

Bravi tutti

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Ed era facile scadere nel tema riciclato e cadere sui soliti cliché, anche e soprattutto perché alla fine il dubbio se è meglio non sapere e vivere felici, affligge in molti.
Quindi bravi, bravi tutti perché in Perfetti Sconosciuti c’è tutto quello che caratterizza la società di questi anni, dalla sempreverde partita a calcetto, alla disoccupazione, a chi si vuole rifare, a chi cerca di reinventarsi, ai social del momento, ai selfie, alla fissa del bio.

Un complimento a chi lo ha scritto, a chi lo ha diretto, al cast e pure a chi ha cucinato!

Un ritmo che non scende mai, e dialoghi all’altezza.
kasia-smutniak_980x571Il film funziona con poco, la semplicità di una location, 7 amici, una cena, e l’intelligenza di chi l’ha scritto.
Colori caldi, cambi di inquadratura intelligenti e mai statici e stantii accrescono il clima intimistico che si vuole creare, insieme alle battute (anche in dialetto) che dire incisive è dire poco.

E la fine, quell’anello che gira, è innegabile che ricordi qualcosa…

Potrei andare ancora avanti, ma il rischio spoiler è sempre dietro l’angolo, uno ci prova a parlare e consigliare qualcosa senza poi effettivamente parlarne e scendere nei particolari, quindi che vi ho detto? Niente? Bene, il resto lo lascio a voi.

E se questo è un film leggero io sono la Smutniak

  • E poi alla fine il ragionamento, tu spettatore te lo fai, se su 7 persone solo una ne esce più pulita degli altri, siamo messi male, sarà davvero estremizzata la proporzione?
  • E poi ci sono io che non ho visto il film al cinema, e sebbene abbia i suoi momenti comici, ho sentito purtroppo delle risate in dei momenti in cui da ridere c’era ben poco.
  • E se ha messo addosso a me, che non ho nessuno a cui rendere conto, ansia, angoscia e tristezza, profonda tristezza, immagino alle coppie con dello sporco sotto al tappeto.
  • E chi lo avrebbe detto che quest’anno avrei parlato quasi ed esclusivamente di film italiani, di certo non io!

Ah Perfetti Sconosciuti è ancora in programmazione per chi fosse interessato!

56 pensieri su “Perfetti sconosciuti

  1. Mi ritrovo in tutto ciò che hai scritto.E’ un film che sembrerebbe leggero, in realtà è tutt’altro che superficiale. Aggiungo che anch’io non l’ho visto al cinema ed ho sentito tante risate a volte inopportune.(Abbiamo usato la stessa fonte?😉)

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  2. Il fatto che, tecnicamente, sia una commedia non significa certo che il film sia “leggero”, anzi… il finale volutamente posticcio e buonista è chiaramente provocatorio: serve a riflettere l’ipocrisia della nostra società, alla quale scopriamo di appartenere molto più di quanto c’immaginiamo. E’ un bel film, senza dubbio, è il nostro “Carnage”, che serve a farci riflettere anche sull’invadenza dei media e sulla difficoltà di mantenere la propria privacy in un mondo dove si è sempre più (iper)connessi e sempre più soli. Una delle più belle sorprese di questa stagione.

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    1. Forse mi sono spiegata male io, anzi non l’ho proprio fatto! Non volevo associare la commedia alla leggerezza, è solo che questo film mi è stato spacciato da più fonti come leggero, quindi era solo una battuta la mia 😀
      Carnage non lo conosco, l’ho visto nominare spesso ultimamente, e ora mi sta venendo la curiosità…
      Sull’invadenza dei media ne avevo discusso abbastanza nel post di Black Mirror, anche in modo più pesante, e ovviamente non perdo occasione per consigliarti nuovamente questa sere se non l’hai vista!
      Comunque Perfetti sconosciuti rimane un buon film per me, e questo un anno molto soddisfacente per il nostro cinema 🙂

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      1. Sono andato subito a leggermi il tuo post, che per altro ho trovato davvero ben scritto ed anche per molti aspetti condivisibilissimo… qui sotto al mio commento, ne troverai molti altri non solo miei ma di altri blogger ed assieme si sta delineando nel caos un quadro molto strano e variegato sul cinema italiano… che strano pendolo… che sembra quasi oscillare dalla lezione dei grandi maestri (gli Scola ed i fellini d’annata, quando davano lezioni di cinema meravigliose. come la pazzesca ed incredibilmente innovativa lunga sequenza della scena del crimine dell’omicidio dei figli di Steiner e del suo suicidio ne “La dolce vita“) alla forza centrifuga di rifuggirne con l’uso dei droni dei Manetti brothers, con lo stile asciutto ed un pò radical della scuderia Sacher e tutti quegli appartamenti borghesi, che sanno tanto di professorale e di francese ed anche di vecchio, senza però l’odore dell’urina che è davvero presente nelle case abitate da vecchi, perché spesso (sempre) non hanno la colf…

        Io spero che ai Donatello vinca il film di Mainetti e tu, Kelvin?

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  3. Ho letto la tua recensione perché ti adoro, DoppiaW, ma non vedrò questo film se non che ad uno dei passaggi televisivi su Sky, perché al contrario di te, non sopporto quasi nessuno degli attori presenti nel film o meglio, non li considero nulla più che semplici caratteristi, un po’ incancreniti sulle loro maschere, come tanti Pulcinella o Calandrino.

    Ogni tanto escono film italiani che mi stupiscono per la loro gradevolezza (fu il caso de “L’imbalsamatore” di Garrone, per me il suo capolavoro, mai superato dagli altri suoi film), altri ancora che mi incuriosiscono e mi affascinano pur con i loro forti limiti (come “La doppia ora” di Capotondi o “La ragazza del lago” di Molaioli, ma là c’era un titano come Servillo) ed infine ci sono attori che riescono ad uscire sia dalla melma dell’impianto recitativo teatrale (odiosissimo, con quell’inflessione costruita completamente avulsa dalla realtà che contraddistingue quasi tutti gli interpreti maschili e femminili italiani), sia dal provincialismo dialettale (denominatore comune di quasi tutti i caratteristi romani) dell’ignoranza portata con orgoglio (su tutti, ricordo sempre la grandiosa interpretazione di Silvio Orlando, nel ruolo del commissario di polizia nel film altrimenti banale e cinematograficamente analfabeta “La variabile umana” di Oliviero); sono però tutte eccezioni, nella generale idiosincrasia che non mi fa onore, assolutamente, ma che provo per il cinema italiano degli ultimi decenni : non lo so… è come se fosse tutto appiattito tra un livello becero cinepanettonico ed uno autoreferenziante sorrentiniano, con in mezzo il grande nulla della maionese agro-dolce di Verdone.

    Ho fatto questa premessa, solo per meglio farmi conoscere a te, mia diletta, affinché tu sappia perché giudico certe cose in un modo piuttosto che in un altro!

    La Smutniak pensavo fosse solo bella, invece ho scoperto che è anche bravina (“-ina”, eh!) da alcuni film visti in TV, gli altri del cast, mah!

    Tu sei brava ed intelligente ed anche diabolica, si, perché come Mary Poppins convinci a prendere la pillola con un poco di zucchero e ti si legge anche per questo!

    Un ultima nota: mi unisco a kelvin72 nel decantare “Carnage”, film di impianto spaventosamente teatrale, ma come sempre con Polanski, tale solo a livello sintattico di mise en scene, perché la recitazione è invece lo stato dell’arte del metodo cinematografico scolastico Stanislavski: il cast poi è immenso!

    Tanto per capirci, prendi la praticamente perfetta commedia francese “Le Prénom” di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte ed elevala al cubo!

    A proposito di “Le Prénom”, ma quanto è stato imbarazzante l’atroce versione italiana del film?

    Mi sono vergognato per la Archibugi e per gli attori… guardando “Il nome del figlio” avevo un imbarazzo enorme, nemmeno avessi beccato mio nonno a toccarsi in bagno di nascosto…brrrr!

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    1. Da una parte ti capisco, nel nostro panorama ci sono attori che non sono attori e altri che sembrano sempre uguali, e bada bene, non mi sono piaciuti tutti in questo film 😀 (il bravi tutti era per i diversi ruoli di produzione).
      Ormai avete deciso di rincarare la dose e farmi vedere Carnage, bene ci proverò!
      Il nome del figlio non l’ho visto sempre a causa della mio essere restia ad un certo tipo di pellicola, ma avendo letto il tuo commento misà che ho fatto bene!

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  4. Senza assolutamente voler polemizzare (giuro! 😀 ) con quello che avete scritto, ma solo per discutere un po’ sull’argomento, vi posto qui sotto il link a un mio recente articolo riguardo lo stato di salute del cinema italiano. E che, a parer mio, non è assolutamente così asfittico e piatto come parrebbe trasparire dalla discussione qui sopra… non è per farmi pubblicità, ma solo perchè mi fa fatica riscrivere tutto e copincollarlo: il sunto è che, almeno a giudicare dall’ultima annata, tutta questa inferiorità e scarsa qualità della produzione nazionale secondo me non trova riscontro nei fatti (cioè nei film che sono usciti). Ho fatto un rapido confronto con i paesi vicini e devo dire che l’erba del vicino non mi sembra assolutamente più verde… ma non voglio convincere nessuno, ci mancherebbe, però sono pronto a parlarne!

    http://solaris-film.blogspot.it/2016/03/sulle-candidature-dei-david-e-lo-stato.html

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    1. No assolutamente, hai fatto bene, ho letto il tuo articolo stamattina e devo dire che in linea di massima sono con te, purtroppo gli inglesi li considero a parte, quasi più vicini al cinema americano che europeo.
      Devo dire che parlando per me, ho sempre un po’ messo da parte il nostro cinema, non avendo visto per molto tempo niente di interessante, cosa che quest’anno invece non è assolutamente accaduto.
      Però stessa cosa devo dire per il cinema francese e spagnolo, credo che quella consapevolezza che spinge a far cinema non circoscritto al proprio paesello inizi ad espandersi per fortuna 😀
      E guardando i risultati di questo 2016 sono con te, non abbiamo niente da invidiare!

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  5. l discorso sul cinema italiano è assai complesso e per certi versi mi ricorda lo stato in cui viveva quello inglese prima del suo cosiddetto rinascimento e quello francese, prima della generazione di Luc Besson ossia prigioniero del suo passato, sia illustre, sia becero.

    Già in tante occasioni si è parlato della disgrazia dei cinepenattoni e dello squallore di un mercato già asfittico che cerca di esportare nel grande schermo ed in Home Video la comicità televisiva dei tormentoni pseudo-cabarettistici (triturano nello stesso macinacarne sia comici bravi ed intelligenti sia squallidi emuli), ma io aggiungo alla tristezza di un cinema ovvio anche tutte e quelle produzioni che escono per l’acquiescenza di critici amici, in cui la voglia di cinema che trovi in tante produzioni indie estere è completamente assente ed al suo posto alberga supponenza ed impostazioni recitative stanche e rivissute, messe in scena teatrali senza impertinenze o guizzi di novità.

    C’è in atto un gran parlare tra i nostri blogger di come sia ingiusto catechizzare il cinema italiano in senso negativo, quando invece ci sarebbero delle perle validissime, ma molti non sanno che queste perle sono soffocate non già da un pubblico “cattivo” ed esterofila, ma dalla reale valanga di liquame conformista che travolge la maggioranza delle produzioni: se artisti geniali come i Manetti Brothers o Mainetti fanno fatica a sfondare non è per colpa del pubblico, ma di quei produttori e distributori ottusi che diffidano delle capacità del pubblico italiano di comprendere cose nuove.

     

    Torniamo sempre lì, al paradigma tra caos ed ordine, rivoluzione/cambiamento e confortevole conformismo, ma mentre il cinema nord-americano può godere di un pubblico talmente vasto e variegato da potergli proporre sia i placidi e poco rischiosi remake, sia le novità eclatanti, il nostro pubblico italico è così ristretto da non potersi quasi permettere il rischio di giocare la carta della novità.

    Si pensi alla RAI, che ha bisogno di vedere e toccare un bagno di folla come quello che a Bologna c’è stato con i fan della fiction Tv “Coliandro” per decidere di rischiare ancora su questo gradevolissimo show, invece di continuare solo con il Maresciallo Rocca e Montalbano…

    Anche i nostri autori spesso si fermano e non vogliono azzardare nuove sintassi e così accade che mentre all’estero ci sono festival che premiano gli esordienti con la distribuzione di pellicole indipendenti ed innovative, da noi un pallido passaparola di poche migliaia di appassionati veicola su YouTube cortometraggi deliziosi.

    Insomma, se paragoniamo una pellicola recente dedicata ad un poeta o un artista (il nostro paese dovrebbe esserne pieno, data la nostra storia ed invece facciamo fatica a trovarne di titoli) come l’acclamato (non da me!) “Il giovane favoloso” di Martone ad uno dei tanti film usciti all’estero con soggetto la vita e l’opera di un poeta (penso subito a “Bright Star” della Champion o al film di Rob Epstein e Jeffrey Friedman su Allen Ginsberg con James Franco), salta subito all’occhio il conformismo della messa in scena e dello script del film italiano, quel manicheo e ricercato under statement emotivo, che non è cifra alienata (come nel cinema di Roy Andersson) o lirismo della solitudine (come in “Funny Games” o “Amour” di Haneke), ma la sfrontatezza del minimalismo un po’ dialettale provinciale che non ha il coraggio di usare quella cazzo di macchina da presa come ad esempio sa fare Sorrentino (il quale, però per me, tende ad annacquare la sua grandissima arte con un eccesso di autoreferenzialità, peccato di cui soffre anche il mio idolo Innaritu, sob!).

    Mi sono spesso emozionato di fronte a grandi commedie (penso a quel capolavoro de “La prima cosa bella” di Virzì), ma poi mi sono incupito e rattristato di fronte a film fuori del tempo come quelli della Archibugi o della Comencini (guardi “Lo spazio bianco”, così formale, trattenuto, corretto e ti chiedi quando sia stato prodotto… nel 2009, nel 2016, dieci anni fa, venti anni fa, tanto non cambia, perché la società che c’è non quella della vita reale, ma quella finta disegnata sullo sfondo del film, senza tempo, come un’immagine scolastica).

    Viviamo in un piccolo paese, dove tutto è davvero provinciale, dai musei ai quotidiani, alla tv generalista, ai TG RAI o Mediaset, ai programmi culturali o ai dibattiti politici, dove si discute ancora sulle coppie di fatto, sui diritti per i gay, sull’aborto, come se il nostro orologio fosse fermo al’immediato dopo-guerra e la nostra arte, quando non repelle questo stato di cose, ne è specchio purtroppo, ma quando invece un artista passa attraverso la sua immagine riflessa e come Alice s’interroga sullo stato delle cose, allora i nostri distributori (quelli che, non dimentichiamoci, ci regalano ogni volta traduzioni di film e libri ad usum delfini), lo castrano subito.

    Prendiamo un festival come la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e guardiamo, solo come criterio statistico, il film che hanno meritato dalla sua giuria l’ambito riconoscimento del Leone d’oro al miglior film: dal 1966 (anno in cui vinse “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo, giusto per citare un film che parlava allora un linguaggio rivoluzionario) ad oggi, solo 3 film hanno avuto questo onore (“La leggenda del santo bevitore” di Ermanno Olmi, nel 1988; “Così ridevano” di Gianni Amelio, dopo dieci anni, nel 1998; “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi del 2013), mentre il David di Donatello, con la presidenza vita affidata a quel Gianluigi Rondi che definì offensiva per il suo cognome la partecipazione della Rosselini ad un’opera di “morbosa pornografia [cit.]” come il magistrale noir di Lynch “Blue Velvet”)

    , celebrava l’Elysium della scuola romana (Verdone, Scola, Monicelli, Archibugi, Moretti, Luchetti, Molaioli, Garrone, Munzi, etc. ) e partenopea (Troisi, Rosi, Amelio, Tornatore, Martone, etc.) con film proodtti,. Criticati e spssso visti dallo stesso gruppo di persone.

    Oggi tutti festeggiano “Lo chiamavano Jeeg Robot” ed è giusto perché è un gran bel film, ma restando sull’argomento supereroistico, qualcuno avrebbe il coraggio di paragonarlo esteticamente ad una chiavica fighetta ed atrocemente milaneseggiante come l’orrido film di Salvatores “Il ragazzo invisibile”?

    Spero di no, perché il primo è un guizzo artistico pieno di voglia di cinema, l’evoluzione di “Tiger Boy” e “Basette”, il secondo è carne putrefatta, imbellettata da novità, con meno arte di una puntata qualsiasi di “Agents of S.H.I.E.L.D.”.

    Se il cinema italiano saprà ritrovare coraggio e mostrare ciò di cui è capace lo potrà fare solo se saprà seppellire i suoi finti mostri sacri: spara a tuo padre e scorreggia sulla faccia dei tuoi dei, come fece Fellini quando girò “La Dolce Vita” o come fece Pasolini con quasi tutti i suoi film.
    Sicuramente, la presenza di Sky tra gli sponsor del Donatello è un buon inizio, ma guardate bene il conformismo dove si annida anche quest’anno:

    Miglior Film: le pellicole di Rosi, Garrone, Caligari Genovese e Sorrentino
    Miglior regista: Rosi, Garrone, Caligari, Genovese e Sorrentino

    Incredibile, vero?

    Miglior Sceneggiatura: Garrone, Caligari, Genovese, Sorrentino… e finalmente Mainetti…

    Dai, speriamo che il film di Mainetti (una spanna sopra gli altri, artisticamente parlando) non faccia la fine di Mad Max Fury Road con gli Oscar… tutti tecnici!

    P.S. Stavo da tempo preparando un mio post sullo stato del cinema italiano, ma mi sono annoiato perswino a scriverlo, ma hai dei frequentatori davvero troppo fighi ed intelligenti (uno su tutti, quel kelvin72, che ha scritto cose bellissime come il suo post su “The Danish Girl“, assolutamente impeccabile, come anche l’altro sull’ultimo Tarantino… splendido articolo…) ed inokltre tu sei una padrona di casa così deliziosa che ho esportato tutte le mie farneticazioni sul tuo blog e magari qualcuno animerà la discussione…

    Perchè se la discussione si anima, qui si scatena l’inferno a colpi di film!!
    (ho già richiamato dai campi elisi MKassimo Decio Meridio per comnbattere la mio fianco…)

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    1. Oddio oddio avete detto tutti cose belle bellissime ma prima devo dire una cosa: DOPPIA W GUARDATI CARNAGE AL PIU PRESTO, è bellissimo e non te ne pentirai.
      Poi arriviamo al nocciolo della questione, il cinema italiano. Kasa mi ha invitata a unirmi alla discussione perché sotto alla mia pseudo recensione di jeeg avevamo accennato qualcosa, ma mi aggancio volentieri alla discussione. Perfetti Sconosciuti non l’ho visto, ma a furia di sentirne parlare bene lo ammetto un pochino di voglia di vederlo me la state mettendo. Io vado a vedere film italiani al cinema di tanto in tanto, ma appunto devo dire di tanto in tanto perché un po’ abitando in provincia non arriva sempre tutto quello che dovrebbe, ma poi di roba che a prima vista mi sembra davvero interessante a scatola chiusa ce n’è poca. Sono un po’ razzista per ammissione con la commedia italiana, non perché non mi piaccia, ma per due motivi: nel nostro motivo mi sembra un genere spesso saccheggiato del suo significato (grazie ai cinepanettoni e agli attoruncoli dell’ultima ora che hanno appena fatto successo per aver partecipato a non si sa bene cosa); i biglietti del cinema costano e voglio essere sicura di spenderli decentemente.
      Sono cattiva? si sono cattiva e prevenuta, pazienza, ma voglio assicurarmi di vedere qualcosa che merita tempo soldi e attenzione.
      Allora se non guardo le commedie italiane cosa guardo? mi guardo i film drammatici o comunque roba che arriva ai festival del cinema e devo dire che di cose carine ne ho trovate, come per esempio molti dei film citati da Kelvin nel suo articolo.
      Il cinema italiano inteso come forma espressiva a tutto tondo esiste e sta bene, lo dimostrano alcune delle pellicole degli ultimi anni. Poi ritengo che i motivi per cui certi titoli non facciano successo o non arrivino a tutti in termini di copie e visibilità, ha ragione Kasa, risiedono nelle scelte di produttori e affini. C’è chi crede più o meno in un’opera e a farne le spese spesso sono artisti promettenti che non hanno l’attenzione dovuta.
      Riguardo ai David di Donatello non ho visto molte edizioni ma le ultime soprattutto per come sono state organizzate le ho percepite come un passaggio obbligatorio per avere un lasciapassare per uno step successivo, e mi riferisco a Virzì per Il Capitale Umano (film che tra l’altro mi è piaciuto molto), perché lo davano come favorito per la corsa agli Oscar. Spero davvero che con il passaggio a sky l’organizzazione di questo premio acquisti un pochino più di qualità e attenzione.
      Gli italiani comunque sono un popolo già pigro con il cinema internazionale un po’ più di nicchia, figuriamoci con quello del proprio paese. C’è proprio un errore nell’approccio, mi piacerebbe che la gente la smettesse di considerare il cinema italiano o anche solo quello da festival come roba da sfigati snob. Se questo cambiasse le cose migliorerebbero. Non so dove sono finita con sto discorso ma spero abbia senso, scusate.

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      1. Spero di riuscire a recuperare Carnage in settimana, poi vi farò sapere cosa ne penso! 🙂
        Intanto grazie di essere passata e ti dico che (come la maggior parte delle cose) la penso esattamente come te, sono un po’ prevenuta sul cinema italiano, ed è bello ricredersi a volte.
        E sono sicura, anzi sicurissima che ci sia tantissimo potenziale inespresso o troncato sul nascere nel nostro paese, per ogni tipo di arte, come diceva infatti Kasa anche su youtube si trovano spesso prodotti migliori di quelli che troviamo nelle sale…
        Perché non ci manca niente, anzi sì, forse qualcuno che creda nel nuovo, nello sperimentare e non andare a colpo sicuro facendo prodotti dal contenuto nullo.
        L’italiano è pigrissimo hai ragione tu, e si prende solo quello che gli si propone, e per come gli si propone, quindi il problema di fondo è lo spettatore medio.
        Se non c’è l’apertura mentale e la curiosità non so quanto si possa fare, è anche vero però che se non si propongono stimolanti e che facciano girare un minimo gli ingranaggi nel nostro cervelletto lo spettatore non si stimola da solo…

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      2. Whaoo, sei così appassionata quando parli e quando scrivi, Blackgrrl, che trascini ed in questa sorta di gorgo “buono” mi ci ritrovo, perché con le tue citazioni, i tyuoi ricordi e gli accostamenti, mi ritrovo abbastanza a casa mia… perché il mio cervello quando si diverte spera di lavorare così, come in caduta libera dentro un wormhole che poi conduce in un altro universo… Bravo Virzì, di certo, per me, più di Salvatores… c’è la scena del piano-sequenza dentro l’ospedale, con tutto il gruppetto di famiglia che viene ripreso accorrere… meravigliosa…

        Ora, io mi chiedo, ma Muccino dove lo mettiamo?
        Sempre in bilico tra la puttanata colossale ed il grandissimo mestiere…
        So che in molti mi sputeranno addosso, ma penso che in “Sette anime abbia fatto un lavoro meraviglioso, dirigendo Will Smith e Rosario Dawson in modo sopraffino, come non so, sinceramente , se altri italiani sarebbero stati in grado…

        Poi c’è un regista che per me è davvero un mistero insondabile, davvero, non riesco a capirlo, a definirlo…Boh!
        Parlo di Carlo Carlei… ha fatto come regista 4 film in croce (quattro!), di cui uno pazzesco, quel “La corsa dell’innocente” del 1993 che nessuno avrebbe mai detto fosse un film italiano, con una grammatica filmica assolutamente inusitata per quegli anni… una cosa che ti lascia a bocca spalancata per l’incredulità, poi dirige “Fluke” (no, dico… seriamente?) che è un po’ come il cartone animato del pinguino che balla di Miller… una cosa che gli hanno chiesto gli alieni di Mulder di girare (a tutti e due) e poi, pufff! Sparisce per 18 anni (mica uno o due… diciotto!) e te lo ritrovi così, nel 2013, con un progettino che non si aspettava nessuno e che soprattutto nessuno ti chiedeva (il pubblico, il marketing, il destino dell’universo…) e non è un cinecomic o un horror o un cinquanta sfumature di giallo sulle mutande lavate senza perborato, no, lo ritrovi con una delle storie più sfruttate di Shakespeare, Montecchi e Capuleti e come sceneggiatore mica un giovanotto rampante e trasgressivo, macché, si ritrova a lavorare con uno di quegli autori che piacciono a me perché è un inglese che scrive di drammi familiari come se fosse il resoconto della sua mattinata in centro… Julian Fellowes, il creatore e scrittore di “Downton Abbey“… ma questa è un’altra storia (ne parlerò sul mio prossimo post su Hailee Steinfeld…).

        Quanta gente strana che c’è nel cinema italiano…

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      3. Lo so che non c’entra niente (sono un ninja dell’Off Topic…), ma a furia di parlare di cinema italiano (bisognerà anche fare una classifica, prima o poi…) avevo bisogno di condividere con qualcuno (non c’è un nesso, non c’è) la stupenda performance dei Disturbed di ieri sera…

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      4. Adoro la loro versione di Sound of Silence! non li ho mai ascoltati veramente ma la voce di Draiman è innegabilmente stupenda.

        Di Muccino non vedo qualcosa da un po’ di anni, ma non mi dispiaceva. Nel senso che non l’ho mai trovato un genio del cinema moderno eh ma a volte qualcosa ci ha preso. 7 Anime però ricordo mi ha messo un ansia assurda addosso, e Woody Harrelson è stato bravissimo. Comunque il mio problema con Muccino per la maggiore attualmente è il modo in cui si pone, mi da piuttosto sui nervi e mi passa la voglia di vedere cose sue.

        Carlo Carlei non lo conosco invece.

        Doppia W, purtroppo lo spettatore medio a furia di vedere finanziati prodotti di dubbio gusto non si estinguerà mai, ma se mi devo sorbire commenti mai richiesti su film di Sorrentino maleinterpretati solo perché fa figo allora tanto vale 😀

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      5. Guarda Muccino suscita anche in me pensieri contrastanti, non amandolo come persona devo dire che i suoi film sono sempre a sorpresa, o mi piacciono abbastanza, o canna totalmente per quanto mi riguarda XD

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      6. Shhh! Ti faccio una confidenza che non deve sapere nessuno… quando ho visto il film di Muccino, nella scena finale in cui Emily Posa (Rosario Dawson) guarda negli occhi (gli occhi che erano di Tim) il personaggio di Ezra Turner (il grandissimo Woody Harrelson) e lui riconosce lei dalla cicatrice sul petto, dove sotto batte il cuore di Tim, beh, mi sono commosso e mi è scesa una lacrimuccia… che critico serio sarei, vero?

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      7. Kasa…. Kasa… sei nel posto giusto! Quella scena me la ricordo benissimo e la lacrimuccia (magari fosse solo 1) è scesa anche a me.
        E poi io sono una piagnona, ecco l’ho detto.

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      8. Se mai ci fosse una classifica delle scene “piagnofore” nella mia Top 1o c’è la mamma di Dumbo che lo culla con la proboscide da dentro la gabbia… (qui ci starebbe il meme del tizio che piange moltissimo…)

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      9. È deciso, oltre alla classifica di prima (che stiamo ancora aspettando), faremo anche questa, “top 10 momenti piagnoni” che poi alla fine sono un pò traumi, almeno per me.
        Alcune scene me le porto proprio dentro con dolore…Non so se capita anche a voi

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      10. Rifacciamolo che ci si diverte e magari proprio con la classifica… coinvolgiamo vari blog… ma non come un tag minchioso… ma proprio come un gioco… ora vado… notte notte (come diceva Gazza in Harry Potter…)

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    2. Mi piaci che animi il tutto! E non da solo ovviamente, Kelvin in primis, e si vede che anche tu hai l’occhio lungo… Lui è uno che non smetterò di leggere, uno dei primi blogger che mi colpì e lo sa, lo stimo molto per il suo modo di vedere e approfondire gli argomenti, quindi aspetto faville!
      Non voglio dilungarmi su “lo chiamavano Jeeg Robot” proprio perché ne sto scrivendo ora, e avendo anche letto tempo fa gli articoli di Blackgrrrl e di tutti gli altri blogger che seguo, so che probabilmente come al mio solito sarò una delle poche che ci andrà giù pesante su alcuni aspetti XD
      Quindi mi autocensuro e passo oltre per adesso.
      Finalmente Sky ha capito che ci può fare i soldi mandando in chiaro questo tipo di cerimonie, in particolar modo quest’anno in cui si è discusso forse di più sui candidati , e visto che ultimamente quasi tutti si reputano critici cinematografici (ma questa è un’altra storia).
      Tanto lo sappiamo che il problema è sempre lo stesso, produzione/distribuzione…
      Ovviamente come avrete capito, non avendo conoscenze approfondite come le vostre non posso spingermi oltre su questo argomento, quindi vi lascio la palla…

      P.s. hai ragione, qui passano persone veramente fighe, è bello vedere che siete frequentatori abituali!

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  6. Ciao DoppiaW, mi sono permesso di invitare nel tuo salotto, per contribuire con le loro idee al discorso sul cinema italiano, una carissima amica come Blackgrrrl (che ha appena csritto una grande recensione sul filmone di Mainetti, per il quale tifo spudoratamente ai David di Donatello, anche se so già…) e lo scrittore Gianni Gregoroni, che sta per uscire con un suo intervento sul cinema italiano di genere degli anni ’70 ed inizi anni ’80…

    Ci serve da bere e da sgranocchiare qualcosa… ma forse più il bere…

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  7. Su invito di kasabake, intervengo in questa discussione sul cinema italiano. Discussione alla quale partecipo con scarsissime competenze, dato che negli ultimi anni di film italiani ne ho visto uno l’anno:

    2014: Un boss in salotto
    2015: Chiamatemi Francesco
    2016: Quo vado?

    Peraltro Chiamatemi Francesco potremmo anche escluderlo, perché è una co – produzione.
    I 3 film che ho elencato mi sono piaciuti tutti molto, quindi basandomi soltanto su di essi mi verrebbe da dire che il cinema italiano è in buona salute, o quantomeno riesce a produrre tutti gli anni qualcosa di buono.
    Se invece mi chiedete un giudizio più globale, vi dirò che quando penso al cinema italiano provo soprattutto una sensazione di grande rimpianto. Questo perché alcuni grandi registi italiani che in passato ci hanno regalato delle perle assolute (Dario Argento, Benigni e Verdone, per citare i nomi più grossi) dal punto di vista creativo hanno avuto una morte precocissima, e questo mi provoca grandissimo dolore.
    Nel caso di Dario Argento, la sua carriera si è inabissata a causa di rapporti difficilissimi con i produttori. E probabilmente anche con la critica, che ha bastonato oltremisura alcuni suoi film ampiamente sopra la sufficienza (penso ad esempio a Il cartaio).
    Nel caso di Benigni, purtroppo ha toccato troppo presto l’apice della carriera con La vita è bella, e non ha più saputo produrre niente che potesse anche solo sfiorare le vette di quel capolavoro.
    Verdone è il caso più complesso dei 3. All’origine del suo declino intravedo 2 fattori scatenanti:

    1) La scomparsa dei caratteristi. All’inizio della sua carriera, Verdone era affiancato da alcuni personaggi di contorno (interpretati dalla sora Lella, da Mario Brega, da Claudia Gerini eccetera) molto riusciti, la cui presenza era fondamentale per la buona riuscita del film: venuti a mancare loro, è crollato tutto.

    2) La scomparsa dei personaggi. All’inizio della sua carriera, Verdone interpretava una serie di stereotipi: il burino, l’ hippie, il ragazzino ingenuo eccetera. Poi ha messo da parte questi ruoli da macchietta e ha cominciato ad interpretare l’uomo qualunque. Peccato che l’uomo medio al cinema non funziona, è noioso, non fa ridere. Verdone dopo aver fatto un flop dietro l’ altro se n’è accorto ed è tornato a fare i personaggi (in Grande, grosso e Verdone), ma era troppo tardi, il grande pubblico l’ aveva abbandonato già da un pezzo.

    Riguardo a I perfetti sconosciuti, non l’ho visto, perché evito a prescindere i film in cui recita Mastandrea. Non lo posso più vedere da quando umiliò Ruffini sul palco dei David di Donatello: Ruffini fu pessimo quella sera e ha tutta la mia disistima, ma nel dileggio di Mastandrea ci vidi un gusto sadico nel girare il dito nella piaga, nel prendere a calci un uomo già a terra che non mi piacque per niente.
    Riguardo ai film di impianto teatrale, riesco a reggerli, ma salvo rarissime e brillantissime eccezioni (Il dubbio, The Hateful Eight) mi procurano una noia profonda.

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    1. Buona sera Wwayne, il rimpianto purtroppo lo provo anche io per i bei tempi andati, però ho provato in questi anni anche sgomento e vergogna per alcune cose prodotte, e per incassi di alcuni film (che già chiamarli film è troppo) che poi sono sicurissima che i film spazzatura siano proiettati anche nei cinema di altre nazioni, parlando di estero e parlando anche di Hollywood si sono viste delle cose che davvero è da cavarsi gli occhi.
      Onestamente credo che però ultimamente abbiamo (forse) iniziato a crederci un po’ di più, credere che possiamo tornare ad essere all’altezza, vediamo come andrà 🙂

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      1. Hai perfettamente ragione: il trash è ovunque. E si annida non soltanto nei film di serie B, ma anche in quelli più insospettabili. Ad esempio, l’anno scorso ho visto un film che aveva nel cast 2 premi Oscar (Charlize Theron e Jamie Foxx), eppure era un vero insulto all’intelligenza umana. Il film era “Un milione di modi per morire nel West.”
        Tornando al cinema italiano, ho volutamente evitato di citare come sintomo di buona salute l’Oscar a Sorrentino, perché è un regista a mio parere (e non solo mio) molto sopravvalutato.
        Tra i rimpianti avrei potuto citare anche Pieraccioni. Alla fine l’ho omesso, perché non meritava di stare nella stessa frase insieme ad Argento, Benigni e Verdone. Tuttavia, anche lui è un ottimo esempio di talento bruciato prestissimo, anzi la sua morte artistica (avvenuta dopo soli 3 ottimi film) è stata la più precoce in assoluto.
        Ma come hai detto tu, il presente lascia ben sperare, e quindi cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno. Grazie per la risposta! 🙂

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      2. Un milione di modi per morire nel West mi manca, e forse per fortuna heheh.
        Devo dire che a me invece Sorrentino piace, Pieraccioni al contrario o non l’ho mai capito io, o rientra pienamente in ciò che non mi appassiona.
        E poi ti pare che devi ringraziarmi per la risposta? Ma va va… 😀

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    2. Lo sai che mi hai stupito, Wwayne, con Verdone prima maniera?
      Non eri infastidito dal fatto che quei personaggi fossero la prosecuzione al cinema delle sue caratterizzazioni televisive?

      Ti dico questo perché, invece, secondo me, la grandezza di Sordi (che in fondo è un po’ il padre putativo di Verdone) era proprio il suo animo assolutamente cinematografico, ossia l’aver creato dei personaggi che erano in realtà delle macchiette quasi indistinguibili di un unico italiano medio, un po’ mutaforma, ma sempre riconoscibile, persino nel protagonista anziano del “Borghese, piccolo, piccolo” di Monicelli.

      Vedi, Wwayne, io ho sempre considerato il massimo della Tv ciò che nasceva e moriva in essa (come gli sketch di Raimondo Vianello) o la destrutturazione dello show del Sabato con l’annullamento del presentatore operato da Enzo Trapani negli anni ’70 con “Non-Stop“) ed il massimo del cinema ciò che altrettanto individualmente nasceva in esso ed ho sempre diffidato (pregiudizio mio, s’intende) dei campioni che passavano da uno dei due media all’altro (come fu per tutti i comici, da Troisi ad Albanese, dal trio di Aldo Giovanni e Giacomo al duo Ficarra e Picone e taccio, per amor di patria, sui figuranti del Bagaglino…), ma questo anche in America… Poi ogni tanto debbo ricredermi…

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      1. La tua posizione mi ricorda quella dei critici cinematografici: loro considerano il cinema una forma d’arte molto più nobile rispetto alla tv, e quindi stroncano con severità qualsiasi forma di contaminazione tra questi due media.
        Io ho una mentalità più aperta: se un personaggio funziona in tv, non vedo perché dobbiamo sbarrargli la strada del cinema per partito preso. Vale per Verdone, ma anche per un altro comico da te citato, Albanese: ad esempio, sarebbe stato un gran peccato se non avesse portato al cinema la riuscitissima maschera di Cetto La Qualunque.
        Tuttavia, Verdone e Albanese sono delle eccezioni: in linea generale i comici televisivi non riescono a sfondare al cinema. Il motivo è molto semplice: per deliziare il pubblico televisivo basta uno sketch di pochi minuti, per quello cinematografico invece devi tenere alto il livello del divertimento per un tempo molto più lungo. E’ come chiedere ad un centometrista di vincere una maratona: sono due tipi di corsa totalmente diversi, e quindi gli atleti delle due discipline non sono intercambiabili.

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      2. Anche se molto simile, è un linguaggio diverso quello tra cinema e tv, per non parlare anche del target a cui si riferiscono…Purtroppo e per fortuna alcuni soccombono facendo questo passaggio 😛

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      3. Hai ragione sai, Wwayne, ancora una volta… probabilmente il mio atteggiamento è preconcettuale, anche perché se lo applicassi con logica e rigore non si spiegherebbe come mai io apprezzi attori comici provenienti dalla Tv come tutti i big fuoriusciti dal Saturday Night Live… spero che il mio disturbo critico derivi da quel fenomeno che hai mirabilmentev riassunto “[…] in linea generale i comici televisivi non riescono a sfondare al cinema. Il motivo è molto semplice: per deliziare il pubblico televisivo basta uno sketch di pochi minuti, per quello cinematografico invece devi tenere alto il livello del divertimento per un tempo molto più lungo. E’ come chiedere ad un centometrista di vincere una maratona: sono due tipi di corsa totalmente diversi, e quindi gli atleti delle due discipline non sono intercambiabili […]”.

        Grazie Wwayne, perché riesci sempre a rimettermi in carreggiata quando rischio di sbandare!

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      4. Ne approfitto per segnalare a te e a DoppiaW questo post: https://tuttelerecensioni.wordpress.com/2016/03/29/speciale-tarantino-1-le-iene/. Recensire l’opera omnia di Tarantino è una di quelle idee così geniali che, quando qualcuno ce l’ha, ti viene sempre da dire “Ma perché non ci ho pensato io…” Non vedo l’ora di leggere le recensioni dei film successivi! 🙂 Grazie mille per i complimenti (che ricambio di cuore), e buona notte! 🙂

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      5. Grazie wwayne! Lo leggo subito, però sappi che io non sono proprio classificabile come fan di Tarantino! Gli riconosco tanto, ma non credo faccia per me!
        Torna presto a trovare noi pazzerelli e buonanotte!

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  8. Purtroppo in questi giorni non ho avuto molto tempo per stare al pc e mi sono perso gran parte della discussione (troppo lunga per potermi rileggere tutti gli interventi…). Quello che volevo dire nel mio articolo, semplicemente, è che troppo spesso noi italiani abbiamo la pessima abitudine di bistrattare o sottovalutare il nostro cinema che, esempi alla mano (quelli che citato nel post) davvero non è inferiore a nessuno. E badate bene, ve lo dice uno che è tutt’altro che nazionalista e orgoglioso del proprio paese: non si può negare l’evidenza, e cioè che anche in Italia sappiamo fare un bel cinema autoriale, impegnato, di livello, oppure un ottimo prodotto medio come lo è “Perfetti sconosciuti” (perchè, non mi stancherò mai di dirlo, “commerciale” non è una parolaccia!).

    Una precisazione, però: il mio discorso (come ho scritto) era puramente QUALITATIVO, nel senso che conosco e capisco tutte le difficoltà economiche, commerciali e strutturali della nostra industria cinematografica. In sintesi: in Italia sappiamo fare ottimi film ma è difficile produrli e farli vedere. E, a differenza dei “cugini” francesi, noi siamo specialisti nel farci del male da soli… Kasabake parlava della Mostra di Venezia (ambiente che, da semplice appassionato, frequento ormai da tantissimi anni “sacrificando” le mie ferie estive) dove guardacaso sparare a zero sui film italiani è ormai sport nazionale… per questo i nostri autori più illustri (penso alla “triade” Garrone-Moretti-Sorrentino) da anni preferiscono lidi più confortevoli. A Venezia la nostra critica “gode” nel fare a pezzi i nostri film, in nome di una presunta indipendenza di giudizio che ottiene risultati grotteschi. Io non dico che bisogna parlare bene per forza del nostro cinema, ma non è possibile che, ad esempio, un autore come Luca Guadagnino venga massacrato per due titoli importanti come “A bigger splash” e “Io sono l’amore”, che poi ottengono riconoscimenti in tutto il mondo fino a sfiorare l’oscar. E’ assurdo!

    E veniamo al capitolo-pubblico, che come dice Valentina (Doppia W) è molto pigro e addomesticato. E’ verissimo, in Italia si fanno tante, troppe commedie di livello spesso insulso e volgarotto. E questo è colpa di uno strapotere del mezzo televisivo che da noi ottiene risultati devastanti: purtroppo siamo un popolo rincoglionito e anestetizzato dalla tv, ed è normale che il nostro cinema “commerciale” di massa ricalchi il livello del piccolo schermo (cioè pessimo). Fermo restando che io sarò all’antica ma continuo a ritenere il cinema sempre e comunque superiore alla tv (anche in America, sissignori: è vero che le serie tv americane sono molto spesso più avvincenti e originali di tanta produzione hollywoodiana, ma ricordo che è molto più facile e comodo diluire una storia in dieci puntate e “fidelizzare” lo spettatore piuttosto che farlo appassionare in due ore: il cinema dispone di quella immediatezza e capacità di sintesi che la televisione non avrà mai… la tv appiattisce tutto, sempre, e soprattutto il cinema non “ricatta” il pubblico obbligandolo a seguire una serie anche per anni), putroppo in Italia il fatto che le due più grandi case produttrici e distributrici siano di proprietà di gruppi televisivi (01 e Medusa, ovvero Rai e Mediaset) certo non aiuta…

    E questo è un altro grosso problema, enorme direi: in Italia è relativamente facile girare un film (specie adesso, che con il digitale e le moderne tecnologie i prezzi sono scesi di parecchio) ma è DIFFICILISSIMO farlo vedere: il dupolio Rai-Mediaset, che rappresenta quasi l’ 80% della distribuzione nazionale, impone che se vuoi portare il tuo film in sala devi piegarti alle logiche produttive di questi due colossi, altrimenti sei fuori… con tutto il rispetto per le piccole case distributrici indipendenti (come la benemerita Lucky Red) che però non hanno il potere di smuovere alcunchè. E’ il caso, per esempio, di “Jeeg Robot” : Mainetti, dopo che si è visto sbattere le porte in faccia da tutti, ha deciso (beato lui che ha potuto farlo) di auto-prodursi il suo film e inviarlo alla Festa del Cinema di Roma, dove ha avuto un enorme successo. Ma chi non ha le possibilità economiche per fare cio’? Per un Mainetti che sfonda ci sono altri dieci giovani autori che non riescono a farsi strada. Purtroppo.

    Mi fermo qui perchè… ho decisamente esagerato nello scrivere! Lasciatemi solo lo spazio per qualche puntualizzazione-flash:

    1) caro Kasabake, mi spiace non essere d’accordo con te ma… ti invito a rivedere meglio “Il giovane favoloso” di Martone, che è un gran bel film. Per nulla televisvo e per nulla convenzionale, anzi! Tratteggia un Leopardi modernissimo e quasi “rivoluzionario”, ben diverso dallo stereotipo che abbiamo studiato a scuola! A me è piaciuto molto.

    2) per contro, concordo con te nell’apprezzare “Sette anime” : è l’unico film di Muccino sr. misurato e non patinatissimo e ricattatorio. Un film che ti fa riflettere, con un ottimo cast e una sceneggiatura asciutta e sobria. Peccato che poi il suo regista non si sia mai più ripetuto…

    3) per wwayne: mi dispiace contraddirti, ma per me Mastandrea che prende per il culo quell’idiota di Ruffini (purtroppo anche mio corregionale) ha tutta la mia stima: basta con il buonismo verso chi non se lo merita!

    Baci e abbracci a tutti! 😀

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    1. Gentilissimo Kelvin, sto imparando ad apprezzarti ogni giorno di più e la mia stima in te aumenta mano a mano che leggo le cose che scrivi: ciò non significa che concordo con tutto ciò che scrivi, anzi, differiamo molto soprattutto nei giudizi conclusivi (quando ognuno di noi, poi, tira le somme delle sue osservazioni), ma certamente concordo con l’impianto generale dei ragionamenti critici, che spesso ti portano a lodare qualcosa a scapito di altro con una lucidità ed una cultura di cui verosimilmente difetto.

      Come forse avrai notato da alcune cose che dico nei miei post, i miei gusti sono probabilmente molto meno aperti dei tuoi sul cinema italiano ed è vero anche che soffro di una certa esterofilia manichea (forse retaggio della repulsione che ebbi quando scappai letteralmente dal borgo selvaggio in cui sono nato nelle Marche, per sposare l’universitaria e più cosmopolita Bologna, che poi riconobbi alla fine altrettanto provinciale, ma con una scala diversa di giudizio…) e non solo, certe volte vorrei abbracciare il cinema di tutto il mondo e mi dispiace di non avere abbastanza tempo per vedere tutto quello che vorrei (dopo quello giapponese e messicano, ora sto scoprendo la bellezza e la profondità di tantissime pellicole indiane, grazie anche al lavoro dei ragazzi della cineteca di Bologna) ed ogni volta che scopro nuove cinematografie mi si illuminano gli occhi come un biologo di fronte ad una nuova forma di vita…

      Probabilmente noi italiani abbiamo già la meraviglia delle meraviglie in casa ed è stupido cercarla in giro come faccio io, ma è più forte di me e questo impulso mi rende un critico certo meno attendibile.

      Insomma, sto parlando di un mio limite e di un mio impulso, come il mancamento quasi da sindrome di Stendhal che provo quando vedo sequenze all’apparenza aliene per i nostri gusti occidentali (a maggior ragione, quindi, italiani) e che invece mi procurano delle emozioni che mi lasciano impietrito ed abbagliato…

      Faccio l’orafo certosino che ricerca quale minchia di cinepresa è stata usata per quella scena (nei miei personali vangeli, al posto dei quattro Giovanni, Matteo, Luca e Marco, io ho “La Nuit Américaine”, “Metropolis”, “Apocalypse Now” e “Fanny och Alexander”) e poi alla fine mi ritrovo a giudicare di pancia, seriamente!

      Ripeto, è un mio limite, ma non riesco a d annoiarmi guardando i tempi lunghissimi di Herzog (quello prima maniera, di “Aguirre, der Zorn Gottes” o “Stroszek”) o di Wenders (“Der amerikanische Freund” su tutti) e poi ingiustamente (ed erroneamente) provo fastidio guardando i film di Martone…

      Posso quindi solo sperare di migliorare e sono certo che con il tempo allargherò di nuovo i miei orizzonti.

      Per adesso, grazie della pazienza e perdonami l’esuberanza che, però, sappi, è solo dettata dalla passione e non dal calcolo!

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    2. Buonasera Kelvin, perdona anche tu il ritardo…
      Volevo solo intervenire in un piccolo punto del tuo discorso, ovvero dove parli della fidelizzazione.
      Secondo te possiamo parlare davvero di questo enorme abisso che la tv ha col cinema oggi? Oggi in cui si propongono trilogie o più, o dove si va sempre sul nostalgico? Se non è obbligare quello il pubblico ad essere fedele ad un determinato prodotto cosa lo è?
      Detto ciò anche io trovo il cinema superiore alla tv, ma il divario per me è sempre più sottile.

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      1. Dipende da come si fa il confronto: se si confronta il BUON cinema con la BUONA tv secondo me il divario resta comunque inarrivabile… parlo per me, ovviamente: l’emozione della sala e, ripeto, la particolarità (che è tutta del cinema) di condensare emozioni e sensazioni in due ore, la tv non riuscirà mai ad averla. Poi, ovviamente, il discorso va approfondito: oggi negli Usa (della tv italiana non parlo neppure, è semplicemente spazzatura) la televisione in effetti ha raggiunto livelli di qualità altissimi, specialmente nei canali via cavo (HBO, Netflix…) e certi prodotti sono di una qualità impressionante: credo che la prima serie di True Detective sia, in assoluto, una delle migliori produzioni americane dell’ultimo decennio, cinema compreso. Da anni, infatti, il cinema hollywoodiano è prigioniero della sua maestosità: i costi enormi, direi folli, di produzione, “impongono” di andare sul sicuro e recuperare i soldi spesi, e di conseguenza non si sperimenta più niente (ecco spiegato il motivo del proliferare di tanti sequel e prequel), ed è indubbio che da questo punto di vista le produzioni televisive (più economiche e meno condizionate dall’aspetto commerciale) sono certamente più coraggiose, nel senso che “osano” molto di più. Però, a mio modo di vedere, una serie tv, per quanto ben fatta, non potrà mai avere l’immediatezza e il “guizzo” d’autore di un buon film. Ma magari sbaglio…

        Riguardo la fidelizzazione, io mi riferivo ovviamente alle serie di lunga durata: un conto è vedere una trilogia cinematografica, con un film l’anno, un conto è vedere serie tv che durano anni con decine di puntate… io mi sento “soffocato” da questa cosa, non mi va di impegnarmi per così tanto tempo, non so se mi spiego. Serie (per carità, bellissime) come “Breaking Bad” , che durano anni con dieci-quindici puntate a stagione per me sono improponibili, non ce la faccio. E non serve nemmeno che escano i cofanetti per vedersele tutte insieme: si fa solo indigestione, non mi coinvolgeranno mai quanto un bel film.
        Però, come ripeto sempre, parlo esclusivamente per me perchè per certe prodotti il proprio carattere e il proprio livello di sensibilità sono insindacabili…

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